Fermo ai box, ma con una gran voglia di tornare protagonista. La bella ‘storia’ di Viviano Minardi

Da tanto tempo il centrocampista arancione Viviano Minardi, è alle prese con un infortunio piuttosto infrequente, ma che lo costringe ai box. Si fece male a Busto Arsizio, nella prima partita di campionato, il 16 settembre scorso, quando, in una azione di gioco, subì una botta. Pare un leone in gabbia, visto il suo carattere esuberante e la sua determinazione, ma dovrà avere la pazienza di aspettare il decorso naturale del suo problema fisco. L’ex genoano, adesso tutto di proprietà della Pistoiese, con un contratto in scadenza a Giugno 2020, deve guarire da una microfrattura al piede, ma intanto ripercorriamo insieme a lui il film della sua vita di uomo e di calciatore.

Il cosentino Minardi (nato nel capoluogo calabrese il 15 Giugno 1998) è un ragazzo molto spigliato, una icona di quel Sud Italia che vuole farcela. “I miei genitori sono molto presenti anche se, a quattordici anni, già giocavo a quasi mille chilometri da casa (per l’esattezza la sua Cosenza dista da Genova novecentonovantatre chilometri. Ndr). Per loro, in particolare per mio padre (persona tosta, forgiata
dalla vita – fa capire il calciatore), è essenziale che un ragazzo studi e si prepari con delle alternative a disposizione”.
(Egidio, il padre di Viviano).

“Mia sorella, più grande di quattro anni rispetto a me, studia
all’Università. A Cosenza mi ero iscritto al Liceo, ma a Genova dovetti cambiare indirizzo, iscrivendomi all’Istituto Professionale di Stato “Attilio Odero”, una scuola che ha un altissimo tasso di inserimento al lavoro. Senza perdere l’anno, raggiunsi puntualmente la maturità di perito operatore elettronico, con il punteggio di 84/100. Quella Scuola è frequentata da molti ragazzi delle squadre giovanili del Genoa ma, tra quelli iscritti dal primo anno e provenienti da fuori regione, sono stato l’unico della classe 1998 ad essermi diplomato. Gli altri si sono fermati alla “qualifica”, che si ottiene nel triennio”. Il “Mina”, come lo chiamano i compagni di squadra, o il “Minardino”, l’appellativo affettuoso attribuitogli da mister Indiani, è molto orgoglioso del suo rendimento scolastico: “ho anche vinto una borsa di studio” – tiene a far sapere. Adesso si è preso una pausa, ma la sua intenzione è di iscriversi all’Università, più precisamente al corso di Laurea in Scienze Motorie. Viviano è molto attaccato alla famiglia (“ci sentiamo spesso al telefono e ci vediamo su
Skype. A volte passano dei mesi prima di incontrarsi di persona. Per qualche anno sono rientrato a casa solo in Estate e a Natale” – sospira). La sua famiglia è formata dal padre, Egidio, operaio all’Alfagomma Hydraulic di Piano Lago, frazione di Figline Vegliaturo nel cosentino, un’azienda che fa parte di un gruppo leader nella produzione e distribuzione di tubo industriale, la madre Alba, casalinga e la sorella Rita, che lui chiama “Teta”, classe ’94, come già detto, studentessa. Tiene a
dire di essere molto attaccato alla sorella, anche per il rammarico di aver avuto poche occasioni per stare insieme a lei.
Eccoli qui, Viviano e Rita, in un selfie scattato in Piazza Duomo a Pistoia, che certifica la felicità di un momento insieme.

(Rita e Viviano)

Il “Mina” non ha avuto storie sentimentali importanti, per cui il suo cuore è ancora libero, anche perché la sua vita, lo vedremo anche continuando l’intervista, è stata molto occupata dallo sport e dallo studio, a cui si è dedicato in modo intenso e proficuo. “A Genova ho imparato ad organizzare la mia vita, anche se devo dire che la Società segue i ragazzi a 360° e non solo dal punto di vista sportivo: avevamo perfino a disposizione un tutor scolastico e uno
psicologo. Consumavo, giorno e sera, i pasti in un bell’hotel ristorante, messo a disposizione dalla Società. Per lavare e stirare i panni avevo trovato una soluzione con una lavanderia a gettone e con una signora che, a prezzo contenuto, me li stirava”. Possono sembrare banalità, ma se si parla di un quattordicenne, si tratta di esperienze fondamentali, dovendo gestire se stesso senza il supporto della famiglia. Fin qui la quotidianità. Ma come fece il “nostro” a raggiungere un club di
serie A, appunto il Genoa, in cui ha compiuto tutto il percorso formativo del settore giovanile?
“Militavo nel Real Cosenza – racconta – una realtà prestigiosa del calcio giovanile cosentino, che ha sfornato tanti talenti, che dispone di un centro sportivo molto bello, all’avanguardia e che si avvale di tecnici molto qualificati.

(Il bellissimo Centro Sportivo del Real Cosenza)

Conservo di quella esperienza un ricordo bellissimo – sottolinea.
Ero lì dall’età di sei anni, dopo la primissima esperienza con il pallone, a cinque anni, nel Piane Crati (il comune più piccolo della Calabria. Ndr) – precisa. Quando avevo dodici anni mi notarono quelli dell’Empoli, che mi volevano portare subito in Toscana con tutta la famiglia. Rinunciammo,
perché ero troppo piccolo. Nel frattempo su di me mise gli occhi l’Inter, che bloccò ogni mio provino per due anni. Non avevo ancora un procuratore; mi seguiva Angelo Aiello, che è un capo
scouting. Aiello è una persona a cui mi sento molto legato.
(Angelo Aiello)

Non ho capito bene, essendo all’epoca molto piccolo, l’evoluzione della vicenda, fatto sta che, sicuramente segnalato da Aiello e con l’avallo dei miei genitori, all’età di quattordici anni fui trasferito al Genoa, Società di cui nessuno mi aveva parlato prima”. Nella città della Lanterna ha giocato alcune stagioni: una nei Giovanissimi, due tra gli Allievi e una in Primavera. Qui però ci fu un intoppo. “Fui mandato in prestito al Pescara – racconta, che era allenato da Massimo Oddo, che mi volle in Abruzzo, avendomi allenato il primo anno di Allievi al Genoa. Mi disse che avrei fatto la spola tra Primavera e Prima Squadra. A Pescara però non mi trovai bene: il convitto versava in condizioni assolutamente inaccettabili.
(Massimo Oddo)

Volli andarmene, ma a quel punto difficilmente un’altra squadra mi avrebbe preso in prestito. Fu trovata la soluzione Cosenza, di fatto un rientro a casa, anche se venivo “retrocesso” ad una formazione Berretti, quella allenata da Pierantonio Tortelli. Il caso volle
che, in occasione di un’amichevole della Berretti, mi notasse mister Giorgio Roselli, che mi chiamò in Prima Squadra. E ci fu addirittura il mio debutto tra i professionisti: il 7 ottobre a 17 anni,
quando, fuori casa a Catania, subentrai a Raimondi a dieci minuti dalla fine. Mina, scaldati – mi disse Roselli!
(Giorgio Roselli)

Ricordo che un mio avversario (Lulli, ndr) intervenne duro su di me e fu ammonito.
“Alzati o te ne do un’altra – mi disse in segno di sfida mentre ero a terra, forse per farmi capire che ero un pivello!”. La partita finì sul risultato di 0-0. In quell’anno, l’11 novembre, Minardi giocò partendo nell’undici titolare, anche in Cosenza – Lecce 1-3, gara valevole per la Coppa Italia. “Nel
Lecce giocava Surraco ed ho visto anche la foto di una azione di gioco, in cui siamo ritratti insieme, ma Juan non si ricordava di me, quando l’ho ritrovato a Pistoia “ – dice il “Mina” quasi
rammaricandosene.
(Jaun Surraco)

A fine stagione rientrò al Genoa, la casa madre. “A Genova ebbi anche l’occasione di partecipare al ritiro della Prima Squadra, oltre che di quello con la Primavera. Avevo allenatori molto esigenti, quali Cristian Stellini in Primavera e Ivan Juric in Prima Squadra. Devo dire che gli allenatori duri e severi sono stati quelli che mi hanno dato di più. Per un giovane che
vuole forgiarsi rappresentano quanto di meglio ci si possa augurare, a parer mio” – commenta convinto. A tal proposito, non finirò mai di essere grato ad Umberto Salerno, l’allenatore che mi ha forgiato al Real Cosenza (e che tutt’ora fa parte dello staff tecnico della Polisportiva cosentina di
calcio giovanile. ndr).
(Umberto Salerno)

L’ultimo anno a Genoa, giocando nella Primavera, Minardi si è messo particolarmente in luce, tanto è vero che fu cercato da squadre di serie B e C. E chi l’ha spuntata?
La Pistoiese! “Il direttore Bargagna – racconta – mi ha cercato con grandissima determinazione e la mia volontà di accettare la Pistoiese è stata decisiva: mi piaceva la piazza, il blasone, la reputazione della proprietà Ferrari, la città e non ultimo l’allenatore Paolo Indiani, che sapevo essere un tecnico di grandi capacità e bravissimo con i giovani.
(Federico Bargagna)

L’anno scorso arrivai alla
Pistoiese, con un contratto di addestramento tecnico. Subito si sviluppò una grossa intesa con il
mister e con il gruppo. Indiani è taciturno all’esterno, ma molto determinato e deciso nello spogliatoio.
(Paolo Indiani)

Le controversie le affronta senza fare clamore, ma si fa sentire. Eccome! Per i giocatori, siano essi giovani o anziani, è una gran ricchezza sapere che un allenatore non ti fa sconti, ma che sa anche valorizzarti dicendoti le cose in faccia”. Fatto sta che Minardi, a novembre, aveva già superato le 15 presenze in Prima Squadra, tra Coppa e Campionato e ciò determinava il diritto ad un rinnovo contrattuale da professionista dalla Società con la quale il giocatore ha il contratto di addestramento tecnico. Con il mio procuratore, Pio Turano, e mia gran soddisfazione, attraverso accordi con il Genoa, fu sottoscritto il contratto con la Pistoiese, fino al 30 Giugno 2020”.
(Marco Ferrari, direttore generale della Pistoiese)

È così che la squadra del presidente Orazio Ferrari, si è assicurata questo autentico talento, che ovunque ha impressionato gli addetti ai lavori, che fu nel mirino di Empoli, Inter e lo stesso Genoa.
(Il presidente della Pistoiese, Orazio Ferrari, con il presidente della Figc, Gabriele Gravina)

Che cosa ne pensa la sua famiglia, molto saggia da ciò che si è capito, della “sistemazione” di Viviano alla Pistoiese? “I miei sono felicissimi. Nel primo vero anno nei professionisti, a diciannove anni, ho collezionato trentasei presenze e realizzato quattro reti. Adesso spero di rientrare prima possibile, soprattutto per dare una mano alla squadra a raggiungere i suoi obiettivi. Per quanto mi riguarda ce la metterò tutta. Come sempre, perché essere bravi non basta. Se non hai temperamento e spirito di sacrificio non vai da nessuna parte!”.
E Minardi, di carattere ne ha da vendere. Vuole farcela a tutti i costi, in primis, superare l’infortunio,
ovvero una delle prove difficili della vita, di quelle che aiutano a diventare grandi in tutti i sensi.

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