Dietro ogni grande allenatore c’è spesso un secondo che lavora nell’ombra, ma con la stessa intensità. Flavio Giampieretti è molto più di un vice: è il braccio destro di Cristian Bucchi, il suo alter ego silenzioso ma presente, l’uomo che conosce ogni sfumatura del progetto Arezzo. In questa intervista rilasciata ad Amaranto Channel ci racconta il legame umano e professionale che lo unisce al tecnico, la filosofia condivisa e i segreti di uno staff che punta in alto.
Come nasce il tuo rapporto con Cristian Bucchi?
“Siamo stati compagni di squadra a Modena, e lì è nato un bellissimo rapporto. Abitavamo nello stesso palazzo: io al secondo piano, lui al terzo. Le nostre figlie avevano più o meno la stessa età, quindi ci siamo trovati spesso insieme anche fuori dal campo. Ogni sera cenavamo insieme, e col tempo l’amicizia si è consolidata. Abbiamo continuato a sentirci anche dopo, quando io ho iniziato un percorso da allenatore, sia da solo che con altri colleghi. Dopo l’anno a San Benedetto, Cristian mi ha chiamato: mi ha prospettato l’idea di iniziare un percorso insieme, e da lì è partito tutto”.
Vi trovate sempre d’accordo sul lavoro?
“Sui principi di gioco sì, ci siamo trovati subito. Ma è normale che, nei dettagli, nascano discussioni o visioni diverse. Fa parte della crescita di uno staff. L’importante è che ci sia confronto, e con Cristian c’è sempre stato. Questo ci ha permesso di costruire un’alchimia forte”.
Qual è il segreto di questa alchimia?
“Forse il segreto è che siamo in due, e sappiamo bene dove può arrivare l’uno e dove deve fermarsi l’altro. Io, da collaboratore, devo essere bravo a misurare parole e atteggiamenti. L’allenatore è quello in prima linea, e io devo supportarlo nel modo giusto, senza mai sovrappormi”.
C’è un giocatore che ti è rimasto particolarmente nel cuore?
“Ne ho allenati tanti, soprattutto nel settore giovanile, e alcuni hanno raggiunto buoni livelli. Ma se devo fare un nome, dico Rubén Botta. Un talento vero, un argentino con qualità tecniche straordinarie. Allenarlo è stato un piacere”.
Che tipo di ambiente avete trovato ad Arezzo?
“Quando siamo arrivati a febbraio, abbiamo trovato un gruppo con una grande empatia. Questo ha fatto la differenza e ha accelerato il nostro lavoro. Il ritiro è stato fondamentale: ci ha permesso di conoscere meglio i ragazzi, molti dei quali erano già qui l’anno scorso. Conoscono le esercitazioni, l’idea del mister, e questo ci consente di alzare l’asticella”.
Il tuo ruolo è spesso silenzioso. Aiuta a mantenere l’equilibrio?
“Sì, anche se poi in partita le cose cambiano. Ci sono momenti in cui Cristian deve essere più calmo, e io mi faccio sentire di più. Altri in cui è lui a partire forte, e io freno. È un gioco di equilibri, di comportamenti. Ma tutto è finalizzato a raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati”.